• Nascere critico d’arte: L’intervista di Fattitaliani.it

    On: 9 Luglio 2019
    In: News
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    Pasquale Lettieri è Critico d’Arte, ma anche Poeta, Biografo e Giornalista.
    Danno il via alle sue attività le frequentazioni con il Poeta visivo Camillo Capolongo prima e successivamente con il curatore e gallerista romano Ermenegildo Frioni.
    Inizia così un percorso artistico culturale, professionale veramente consistente, la sua prolifica attività nel campo della ricerca artistica contemporanea, curando numerosissime mostre e rassegne dedicate ai nomi più prestigiosi dell’Arte contemporanea. E’ autore di numerosi cataloghi e libri d’arte, Docente, Accademico, Direttore artistico di Gallerie d’Arte, scrive su quotidiani e mensili di provata valenza artistica, curatore di un’ingente quantità di Mostre, Autore di volumi e cataloghi preziosi per la competenza e la ricerca storica che ne sono alla base.

    Chi sia, quindi il Prof. Lettieri per gli addetti ai lavori è ormai storia, noi invece vogliamo presentarlo al grande pubblico, facendolo conoscere anche umanamente ai giovani, a chi non è un frequentatore del campo artistico.
    D. Prof. Come vive un Critico d’Arte come Lei la consapevolezza di appartenere ad una terra che contiene il 70% dell’Arte mondiale ed è la culla di tutta la Cultura neoclassica?
    Si sente il peso di una grande responsabilità, ma anche la felicità dell’orgoglio di essere italiani. La museografia, così come la museologia, sono diventate due scienze in sviluppo, che attirano sempre nuove attenzioni di giovani che sentono il bisogno di acquisire le conoscenze adatte per svolgere queste nuove professioni che a qualcuno sembrano antiche, ma che fino a poco tempo fa si acquisivano con un artigianale apprendistato, che per anni ha dato buoni risultati, ma ora mostra tutta la sua corda. Tanto è vero che si avvertono tutte le carenze che abbiamo posto a premessa di questo ragionamento. Carenze che rischiano di rallentare lo sviluppo di questo comparto che, con l’aumentare del tempo libero e dei consumi culturali, richiederà tanti operatori ai quali non si dovrà chiedere una minore scientificità di quella che si chiede ai ricercatori delle nanotecnologie. Non bisogna pensare che nelle cose dell’arte deve valere l’ingegno, l’improvvisazione e basta, perché è sempre più necessario acquisire conoscenze organiche e mettere in campo prassi che già all’estero, specie negli Usa, sono già in atto e da noi, molto meno. Porre al centro del dibattito questa questione significa voler dare al mondo dell’arte, un futuro certo in cui le discontinuità e le originalità siano dovute a personalità e psicologia, non a casualità e improvvisazione. Le università, le accademie, ma anche le stesse istituzioni museali e storico archeologiche si devono porre il problema in termini organici, utilizzando anche l’esperienza dei pionieri dei Renato Barilli, degli Achille Bonito Oliva, dei Germano Celant, dei Gillo Dorfles, dei Philippe Daverio, artefici di una grande stagione, irripetibile, indipendentemente dalle loro diversità e dall’essere storici o “contemporaneisti”. Mi sembra necessario non lasciarsi sfuggire l’occasione d’oro d’avere avuto una squadra di critici che è equivalente a ciò che sono stati i Valentino, Versace, Ferrè, Armani, Missoni, Balestra, Molaro nel campo della moda. Un momento in cui la storia produce, in maniera rivoluzionaria, dei protagonisti che tracciano una strada che prima non c’era, che fondano stili e modelli di vita, ma difficilmente hanno eredi diretti, anche perché sono dei solisti che creano le regole con il loro comportamento ma non le tollerano, per cui, affinché non si disperda un patrimonio è necessario che si moltiplichino le offerte che ad oggi sono molto limitate.
    D. Ci spiega come e quale approccio bisogna avere per carpire il significato di un’opera e non rimanere alla sua apparenza?
    Dinamica e meditazione sono due alternative di lettura per i linguaggi creativi, pittorici, plastici, che oggi sono sempre più contaminati, mescolati, con la peculiarità tecnologica che impregna tutto l’essere e l’apparire, anche quello che, nell’immediatezza, sembra più legato alla tradizione e alla storia, ma ricordandoci sempre che nell’antico, molto mitizzato, le statue, i templi e le case, tutto era dipinto proprio perché il crinale del cambiamento continuo, che corrisponde all’etimologia della modernità avanzata, liquida, obbligato a scommettere sull’originalità.
    In sostanza nessuno può “tradire” il proprio tempo, sia quando vuole tentare la fuga in avanti, che quando si sente orfano del passato e vuole ripercorrerlo o impiantare in esso, perché c’è oltre alla consapevolezza, un trasudamento molecolare che gioca una dialettica di movimento e di stasi in un ondeggiare continuo, per quanto asimmetrico, che corrisponde ad una sperimentazione e ad una riflessione, che è linguistica in senso teorico, complessivo, pronta a specificarsi nei molteplici rivoli della fenomenica che corrisponde ai nostri sensi alle espressioni del desiderio, nelle emozioni, che si fondano sulla memoria e ad essa tornano, dopo i flussi del presente, dopo aver lasciato tracce che tocca ai visionari astrarre dal nulla, ai deliranti innalzarle a pensiero.
    D. Cos’è per Lei la Bellezza?
    Il concetto del bello è fortemente generico, penosamente vacuo. Diciamo bello quello che piace agli occhi, quello che osserviamo con piacere. Ma il piacere offerto dalla natura è di specie diversa dal godimento artistico. Quel che piace rappresentato dall’artista può spiacere in natura ed essere persino insopportabile. Poiché c’è un abisso fra bellezza naturale e pregio artistico, noi cerchiamo di evitare il termine “bello” nel giudizio sull’arte. Ma sarebbe un errore espellere senz’altro dal regno dell’arte il bello naturale, quindi la figura sanamente bella, la grazia del movimento, una corporatura regolare, il fascino. I rapporti fra bellezza naturale e valore artistico sono intricati.
    Anzitutto il nostro giudizio sulla bellezza in natura dipende dalle nostre esperienze artistiche. Proprio dagli artisti abbiamo imparato a godere la bellezza naturale.
    Le forme, i colori, i movimenti che ci rendono felici nella vita, noi non cerchiamo affatto di ritrovarli nel quadro. Il bello naturale non è condizione indispensabile per la creazione artistica, ma serve all’artista come un mezzo. In arte esso è simbolo di nobile, alto sentire, di purezza spirituale, d’innocenza e di santità.
    D. Per fare comunicazione culturale sui giornali, in TV e, ovviamente, a scuola occorre sempre il confronto con il passato o il dominio della Rete ha mutato o almeno condizionato il modo di fare critica?
    Non bisogna dimenticare mai che i linguaggi artistici costituiscono un elemento essenziale dell’immaginario umano, capace di connotare identità, come le differenze, rendendo dinamiche le civilizzazioni, dando ad esse le strumentazioni per affermare la creatività, lo sbandamento,
    la fascinazione; perché altrimenti non si comprenderebbe il suo espandersi, che è da tutti considerato, un indiscutibile fattore oggettivo, mentre, ancora in tutta la prima parte del Novecento, in preda delle ideologie rivoluzionarie e assolutistiche, molti si chiedevano, con maiuscoli punti interrogativi, se l’arte fosse necessaria, se l’arte avesse avuto un futuro. I nuovi media hanno consentito una crescita in orizzontale, oltre che in verticale, dell’interesse poetico e critico, oltre che di quello di mercato, che rimuove questi interrogativi, mentre amplia la portata di tutte le questioni filosofiche, sociologiche, linguistiche, che all’arte e alle sue molteplici espressioni, fanno riferimento.
    D. I trentenni e i quarantenni di oggi vivono una grave emergenza storica che si basa su una disoccupazione intellettuale già, da qualcuno, prevista fin dagli anni settanta. Quali gli errori della Scuola, della Formazione, della docenza universitaria? Dice Oscar Wilde: in un secolo brutto e insensato, le arti cercano i modelli non nella vita, ma in opere precedenti, alle quali fu dato valore.
    Cosa fare, secondo lei, per non trascinarsi questo stato di cose nelle generazioni future?
    Nella grande discussione sulla disoccupazione giovanile, specie di carattere intellettuale, spesso sprovvista di laurea, non è mai stata al centro del dibattito la questione delle nuove professioni legate alla cultura, alla gestione di imprese culturali, in tutti i settori, soprattutto in quelli museali, galleristici espositivi, che si moltiplica sempre più e non hanno personale adatto, non potendo quindi, portar avanti i programmi di espansione o dovendo accomodare con personale improvvisato. Tanto malessere, in tutti questi luoghi è dovuto spesso all’improvvisazione, al dilettantismo, che poi si traduce in cattiva selezione delle opere, in modesti cataloghi di basso tenore scientifico, in allestimenti carenti e in apparati illuminotecnici che spesso sono fatti per rendere difficoltosa la visione e sfregiare seppure metaforicamente, le opere.
    La stagione delle mostre, in Italia, ormai dura da anni, senza interruzione e il fenomeno non accenna a placarsi, ma questo pone con forza il problema della formazione dei critici, dei conservatori, dei curatori, degli addetti stampa e alle pubbliche relazioni, i guardiani, gli accompagnatori di comitive. Bisogna studiare in modo nuovo in collegamento tra centri universitari e musei, gallerie, luoghi espositivi, per evitare i rischi di teoricismo, che rendono inutile tanta conoscenza e quelli di tecnicismo che reputano tutto ovviabile con l’esperienza. Serve lo studio teorico e l’attività di tirocinio, in modo da connettere subito l’acquisizione metodologica astratta e la concretezza del fare e del fare bene.
    D. Artisti, Galleristi, Istituzioni. Monitorando questi tre fattori, qual è lo stato di salute dell’arte contemporanea?
    Il sistema dell’arte sta vivendo una nuova giovinezza, da tempo, conquistando sempre nuovi ceti sociali, che vengono attratti dall’arte, per quello speciale status simbol che conferisce, per quella trasformazione qualitativa che dà agli ambienti in cui viene collocata. Niente è in grado di soddisfare il desiderio di cose bellezza ambientale, come l’arte, specie quando è il frutto di una conquista individuale, in un luogo che è di conoscenza e di acquisizione, come dire di metafisica e di fisica. L’opera di pittura, di scultura, di disegno, di grafica, nella vendita all’asta, si misura, non solo con una cerchia di affezionati e di conoscitori, ma con un vasto pubblico, che spesso la incontra per la prima volta, proprio in questo luogo, spesso con delle folgorazioni e delle impennate di valore, che fanno notizia; nascono in sostanza amori eterni ed infiniti, ma anche possibilità di crollo, anche se, veramente, questo accade molto di rado. Puntare su questa forma di mercato dell’arte, che è ormai stabile nell’affiancare quella tradizionale dei mercanti en chambre o dei galleristi o quelle più recenti, come quella che avviene in trasmissioni televisive, è un fatto di fiducia nei confronti dell’agorà cittadina per entrare in confronto con l’habitus della ricchezza storica, dell’arte antica e moderna; ribadendo che essa non è in alternativa agli altri canali commerciali esistenti, ma si propone in azione sinergica di integrazione, in cui si preveda che in più, in tanti, si possa lavorare insieme per allargare il panorama dell’offerta d’arte e ampliare l’ambito dell’offerta e quello della richiesta. Così consolidando, in tutto, il panorama nazionale, un segmento del rapporto sociale con l’arte, nella considerazione che la sua fase di mercificazione non finisce per esaurirla, ma nel verificarne la corporeità in vista di una più sofisticata conservazione tra i beni dello spirito, perché non dobbiamo mai dimenticare che l’arte ha un suo momento mercantile, seppure alto e speciale, ma rimane sempre una delle più alte invenzioni del genio umano e rappresenta la più alta espressione di una civiltà. In sostanza, si può ribadire che ricchezza e varietà dei canali di proposta di mercato, fanno si che esso sia, sempre più, un segnale di strutturalità della vita economica e culturale, un segnale di modernità profondamente radicata nella tradizione e proiettata nel futuro.
    D. La bellezza salverà il mondo, dice Dostoevskij, dobbiamo crederci o è ormai una frase dell’immaginario comune?
    L’arte e gli artisti sono una categoria postmoderna per eccellenza, forti e inguaribili assertori di una unione sacra tra teoria e prassi, tra concettualità e tecnica, continui fondatori e rifondatori della loro genealogia di nomadi ed erranti, vocati a creare bellezza e a dare luce ai grandi spazi e ai segreti luoghi della vita; con essi si devono misurare sociologi e urbanisti, architetti e paesaggisti, per fare in modo che il nostro destino non sia quello dei tristi custodi di un passato grande di cui s’è persa la chiave, ma di protagonisti pronti a segnare il proprio passaggio, con forme durature di monumenti del nostro tempo. Come sempre si confrontano i laudatores temporis acti, i catastrofisti, gli utopisti, i visionari, ma noi possiamo aspirare al più alto dei destini, quello di contribuire alla trasformazione molecolare di noi stessi e della realtà circostante, senza lasciarci esaltare dai successi e senza farci atterrire dai degradi: hic rodus, hic salta.
    D. Cos’è la Poesia per lei?
    La poesia è diventata un’ermeneutica dell’impossibile, in quanto non esiste più una regola d’arte che va interpretata e compresa, ma un trascinamento che non porta da nessuna parte, perché l’emozione non è programmabile e neanche decodificabile, se non in via sintomatica, frammentaria, senza più nulla di sistematico, proprio per il fatto che si è esaurita la poetica come pensiero compatto, per cui il post industrialismo si diffonde esplosivamente dappertutto, con un ritorno all’individuale parcellizzato, alienato, proprio nel momento in cui alla divisione capitalistica del lavoro, fa sì che nessuno abbia una visione d’insieme, capace di essere in qualche modo autosufficiente, bersagliando l’individuo di ogni attacco, fino a farlo regredire in individualismo solipsistico, che dal narcisistico procede verso l’autismo, anche se per fortuna continuano a proliferare gli emarginati che seguendo le tracce di Solgenitsin, di Sakarow, di Siniavski, di Daniel, le indicazioni intellettuali di imprevedibili poeti come Pound e scrittori come Cioran, tutti lungo una direttiva di libertà, dove hanno incrociato le penne, anarcoidi come Pizzuto e Bataille e per finire in catalogabili, come Kurt Vonnegut, James G. Ballard, Charles Bukowski. Si fa per dire!
    D. L’amore rende più deboli o più forti?
    Eros è la macchina della vita, intorno ad esso e attaccato alle sue infinite trame, si svolge l’accedere delle ore e dei giorni, in una perenne lotta del desiderio, di soddisfarsi, sapendo, antropologicamente, che il suo gioco radicale, ontologico, sconfina con le pulsioni profonde, che appartengono all’istinto di conservazione e di repulsione, per tutto ciò che è suo apporto, disfacimento, dissipazione, perdita del , dell’es, del superio, della morte, insomma, che è la perdita di tutto, per cui eros vuol dire gioia e dolore, mescolati insieme, in estasi e tormento, eterni.
    Al suo corteo cui sono tutti, belli e brutti, giovani e vecchi per prendersi la propria parte di festa, la propria porzione di godimento, portandosi dietro l’epigrafe del proprio narciso, attaccata alle dionisiache corone di fiori carnosi, umorali, come un’insegna, che indica innamoramento, passione, delirio, dolore: perché il suo percorso è sempre ripido, in salita e si può precipitare in ogni momento, anche quando si sfiora il culmine, l’estasi di un attimo e s’incontra Sisifo, che non si ferma mai che sale, sale, ma poi scende, scende.
    D. Da cosa ci salva la Poesia?
    La poesia, erede, nel suo grande contenitore indicibile ed ineffabile, delle misure della bellezza, della libertà espressionistica, dell’emozione, della gestualità, del nomadismo, della sperimentazione, della teatralità della scena, del segreto di un laboratorio sapienziale e facturale, del grande teatro del mondo e della sua immensa volta celeste, conturbante aura fantastica e cappa insostenibile, caratterizza, rizomaticamente ed atmosfericamente il nostro tempo.
    La poesia si configura come un grande contenitore, informe, elastico, pronto ad assumere la forma di tutto quello che contiene dentro, cambiando di continuo il suo modo di apparire, la sua transeunte morfologia, fatta di tutte le imperfezioni e le titubanze che vengono a scontrarsi, quando tutto è stasi e sembra movimento, quando tutto è movimento e sembra stasi.
    D. L’amore è la risposta, ma mentre aspettate la risposta il sesso può suggerire delle ottime domande. (Woody Allen). In che ordine mette le due cose Lei?
    Nel lungo tempo dell’oggi, che è il rovesciamento dell’eterno presente, tutto quanto può esistere, spianando le montagne e riducendo le maree, proprio, perché è in atto una grande pioggia chimica, di media a cui nessuno può sottrarsi, intrusiva, implacabile, a cui è necessario rispondere, raddrizzando i tempi e i luoghi, della riflessione, della meditazione, nell’ascolto dei suoni, nella modulazione, delle parole, nella calibratura dei gesti, facendosi altro, riuscendo ad ascoltare il silenzio e vedere il nulla, come se fosse in atto un’apocalisse, l’avvento dell’aleph.
    Per questo, diventa fondamentale il momento della libertà, della libera adesione alla propria emotività sensuale e pornografica, salvifica e dannata, che può anche essere sincronica, calibrata con quanto gli accade tutto intorno, vissuta senza arroganza e senza spirito di sopraffazione, in cui il compito del maestro, vicino e lontano, non è quello di portare ad unità la molteplicità, ma di conservarla, in quanto tale, come una ricchezza che è tale, in quanto tale e non in quanto materialeda fondere insieme, ma per la fluidità del genio che per fortuna è sempre incombente
    D. Tra le tante cose che fa, in quale si ravvisa meglio?
    Nella contemplazione
    D. Un’ultima domanda al Prof. Lettieri che riguarda la Donna. Oggi è sopraffatta dalla violenza, l’Arte può contribuire ad abbattere questo oscurantismo che pensavamo di avere alle spalle?
    Lo sguardo lungo e inesorabile, che guarda all’eterno femminile, come geneticamente culturale e complessità espressiva, in senso fisico, assolutamente fisico, ma storico, assolutamente storico, dal punto di vista dell’emozionalità fantastica e della rappresentazione visiva, specialmente in quest’ultima fase della modernità, che lo ha fatto diventare testimonial di tutto, ma proprio di tutto, a causa (o grazie) all’emozionalità che, investendo le molecole più recondite dell’io e del noi, condiziona ogni atteggiamento nei confronti dell’altro. La donna, specchio estetico dell’umanità, è soggetto-oggetto, nel senso che vive all’interno dell’opera, come in un secretum, mostrando vera spontaneità che è quella dell’essere con sé stessi, del piacersi, del guardarsi, dell’immaginarsi, ma anche la spettacolarità del piacere, del guardare, dell’immaginare, in una dialettica, che è della natura, che è della cultura, in un limpido, in un torbido, di una trama combinatoria che prevede scampo, che prevede riparo, facendo parlare il respiro, il calore, l’assopimento, come regno, come voluttà.
    Gentile Professore grazie per la sua disponibilità che ci ha permesso questa piacevole conversazione e ci lasciamo con poche parole che ci esortano a fare solo ciò che possiamo, a tutela della pura e disinteressata bellezza: L’arte è una missione, se non si è chiamati è meglio non farla (Giò Pomodoro).
    Caterina Guttadauro La Brasca
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  • Presso la Camera di Commercio di Vibo Valentia la seconda edizione del premio Shaharazad

    On: 17 Giugno 2019
    In: Eventi
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  • Lucio Fontana: Oltre la materia

    On: 9 Aprile 2019
    In: Mostre, News
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    Continua fino al 14 aprile la mostra di Lucio Fontana al Metropolitan Museum di New York. On the threshold, Lucio Fontana. Sulla soglia, il titolo della più importante retrospettiva negli ultimi quarant’anni dell’artista negli Usa. La tempestività è fondamentale nella determinazione delle sorti di una vicenda complessa come quella dell’arte, che appartiene al sistema dell’economia e della cultura, in quanto superato quell’attimo favorevole, tutto lascia     il tempo che trova ed anche l’invenzione, più intelligente diventa sterile. Questo accade, appunto, alla mostra di Lucio Fontana, On the threshold, proprio nel momento in cui si registrano, per sue opere sul mercato internazionale, quotazioni a due cifre, in milioni di euro, inimmaginabili, fino a poco tempo addietro. Opere presentate in modo mirabile nelle sale espositive del Metropolitan Museum di New York, colore nero, rosa, oro, rosso, bianco, giallo, in cui sono rappresentate tutte le tipologie del suo lavoro inventivo, sculture, ceramiche, quadri su tela, in un pieno di tagli, buchi, varchi, da lui inventati, per permettere al suo pensiero formale di entrare nello spazio verticale alla superficie e sperimentare una nuova idea di contaminazione con il tempo, nella sua determinazione di respiro esistenziale, pur rimanendo all’interno di una tradizione artistica consolidata, essenzialmente tonalistica, in cui le sculture sembrano fatte implodere, con un risucchio di sprofondamento che porta nell’inaspettato, nell’imprevisto e i quadri vengono coperti da strati di colore e poi spaccati, lacerati, con colpi netti che dettano un tessuto di discontinuità. Fontana accentua le caratteristiche alchemiche e barocche che avevano già caratterizzato la sua stagione figurativa, a partire dal suo mitico Uomo nero, di fine anni Trenta, confermandosi con l’aspetto estetico delle nuove scoperte scientifiche, scaturite da Einstein, traendone tutte le conseguenze che gli appaiono necessarie nel suo inseguimento dell’ignoto, che non è solo concettuale, ma per lui, essenzialmente visivo.

    La pittura viene sforzata in un ambito di pittoscultura, leggibile come fosse un bassorilievo, ma questo lo possiamo considerare un aspetto secondario, rispetto alla sua direzionalità che è quella di penetrare nelle coordinate del sublime, che sono senza misure e senza equilibri formali, che appartengono alla bellezza, di cui lui si ritiene fuori. Le sculture sono lavorate con una sorta di tecnica invasiva, con fenditure che spaccano la pelle della continuità, quasi a volerci entrare dentro, per guadare nel caos di un ignoto, segnando la fine delle certezze poetiche di una temporalità e di una spazialità, superate dalle nuove conoscenze che imponevano la necessità di rompere con la bidimensionalità, lavorando per discontinuità, per salti nel vuoto, concepiti come un itinerarium alla quarta dimensione, quella della durata, che è ritenuta la vera forma delle cose. La sua genealogia linguistica lo pone nell’olimpo degli innovatori, di quelli che hanno coniugato l’originalità, in senso ricco, all’interno della cultura dell’informale, concepito come sistema analitico di una linguistica della monocromaticità, la cui tensione gestuale è fatta di segni finiti e costanti, utilizzarti come elementari alfabetiche dell’essenzialità. Siamo nella linea delle avanguardie, della crisi di tutte le discipline consolidate, come se la scoperta apocalittica del big bang avesse disperso tutto un sapere di teorie e di poetiche, per cui nulla si trova più al proprio posto e tutto tende a separarsi in dimensioni diverse, di concetti spaziali, tra teatrini ed ellissi, fino ad arrivare ad un titolo che può essere di apertura o di chiusura di ogni immaginazione e mi riferisco alla Fine di Dio.

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  • San Gregorio Art Gallery – Elio Cassarà in mostra

    On: 24 Agosto 2018
    In: News
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    Elio Cassarà

    Poetico e pittorico

    Un rosario che si snocciola con emozione ed esercizio rituale di contemplazione e di memoria, nel tragitto di un tempo breve per l’attraversamento delle ere e delle epoche, ma lungo quanto un’esistenza, dall’incedere dello zenith alle prime ombre del crepuscolo della vita di un individuo, di una generazione. Accade negli anni ottanta l’incipit che dura fino ad oggi, in una pendolarità ideale e reale, che non lascia fuori nessun attimo, per caso, ma li associa ad una coniugazione al futuro che comprende l’hic et nunc di questo presente. La mostra “Informale poetico” di Elio Cassarà, si specchia nell’animo eterno dell’Ulisse endemico che vive con noi, attorno a noi, che solo pochi si incaricano di interpretare, lasciando gli stretti vicoli dove non entra mai il sole a Palermo, neri come i colori eterni dell’antro dell’Etna. Fugge Elio ed elegge i suoi compagni visionari e maestri di dubbio, Turcato, Corpora e Foucault dagli spessi occhiali, stringendosi d’intesa con Vedova e Sanfilippo, Afro dalle pose maculate, mentre ribolle in lui tutta una trama alchimista, barocca, romantica, lunga fino all’America dell’action painting e all’Oriente del tachisme, più di ora, tempo eterno del mondo. Ma, per un Oriente ritrovato, subito una New York, dove si sono nutriti, Adolph Gottlieb e Mark Rothko. Quella di Cassarà non è una pittura banalmente naturalistica ma si tratta di uno studio sulla forma che in qualche modo recupera una visione “biologica”, “floreale” e “zoomorfa” riferita più che alle sembianze da imitare ai processi formativi della natura stessa, al suo dinamismo vitale, alla crescita degli organismi viventi, agli spazi di ambienti naturali visti da vicino. Si coglie la lezione delle avanguardie storiche che rompendo con il realismo e il naturalismo invertono il ruolo della natura e del linguaggio trasformando l’arte – come ben specificava Filiberto Menna – da una ricerca sul linguaggio della natura ad una sulla natura del linguaggio. La percezione dello spazio e del tempo proposta dal Cubismo di Picasso e dal Futurismo di Boccioni sono state agli inizi del secolo scorso una messa in discussione dello spazio euclideo e del tempo newtoniano a favore di uno spazio antiprospettico con più punti di vista e un tempo relativo legato al movimento e all’accelerazione. La visione di Cassarà è il risultato di un progressivo allontanamento da una realtà presunta oggettiva, assoluta, uguale per tutti, che ha visto sviluppi sempre più radicali di una modernità estrema. Se la ricerca astratta e informale, geometrizzante e materico- gestuale, ha negato totalmente la rappresentazione e l’interpretazione del vero, un certo informale italiano ha privilegiato una strada più poetica, che ha avuto nello storico dell’arte bolognese Francesco Arcangeli uno dei maggiori teorici e sostenitori. Questa pittura che mantiene viva una espressività appartenente all’arte che non rinuncia all’emozione, sia che si tratti del primitivismo di Giotto, dell’umanesimo di Piero della Francesca, del romanticismo di Turner, del cubismo di Picasso, del neoplasticismo di Mondrian o dell’action painting di Pollock. Cassarà si pone su questa linea di sviluppo dell’arte, che sperimenta nuove forme ma con un atteggiamento non di rottura. Non c’è dialettica fra il passato e il presente ma una continuità, che avvicina gli artisti di ieri con quelli di oggi, capaci sempre di interiorizzare la conoscenza attraverso una percezione, che affina i sensi e la sensibilità. Le immagini sono sempre attraversate da solchi metamorfici, di una natura evolutiva in cui si contaminano il colore e i sogni, in un modo a volte lineare e adesivo, a volte complicato e intrusivo, con un quid visionario che traspare sempre, come in un diario in pubblico, da cui sembra stagliarsi il profilo di Ezra Pound dei Pisan Cantos scritti in una gabbia, “grande” come una gogna. Nel suo viaggio alla ricerca di sé, si è accresciuto il fantasma della mente, che prima scriveva piccoli appunti da taccuino, da sacca del viandante, poi è passato a misure cattedrali, ad una architettura dipinta dove sono rappresentate immagini informi e memorie di sogni. Il tutto è come un codice personale a chiave, che ha bisogno di una ermeneutica, capace di resistere alle tante seduzioni della somiglianza e non lasciarsi scacciare dalle durezze e dalle stranietà babeliche. E Venezia c’è sempre, con le sue sfumature evanescenti, come una protettrice discreta, che si defila, appare e non appare, suggerisce e rassicura, senza essere mai paesaggio o maschera, ma linguaggio sottile, che ha imparato dal mondo, tanto quanto, ha insegnato al mondo, entrando nella post modernità, dopo avere saltato la modernità, a piè pari. Tutto è attuale, in questa disseminata distesa presentata dal corpus di Cassarà, in più di venti opere dove si può trovare tutto, a patto di saper vedere, di trovare uno spirito di contemplazione, senza appiattirsi nel delirio dalla tautologia, dove tutto quello che c’è è lì di fronte a te, mentre dell’altro c’è, sempre, un quid, una trasparenza, il richiamo di una vecchia parete, scaglie di sole e di mare, di cui Elio è maestro e noi una semplice margherita.

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  • Ercolano, 53 artisti aprono Villa Campolieto

    On: 6 Novembre 2017
    In: Eventi, News
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    Pittori, fotografi, musicisti, film maker, scrittori, danzatori. Cinquantatré artisti in campo, in un luogo unico al mondo come il Miglio d’Oro con le sue splendide ville, per un evento d’eccezione: è l’ Itinerario d’arte, giunto alla sua seconda tappa. Sabato 5 novembre alle 17.30, a Ercolano, si apriranno (gratis) al pubblico le porte di Villa Campolieto, disegnata da Gioffredo nel 1755 ma completata da Luigi Vanvitelli. Tra gli artisti espongono Antonio Sannino, Marco Monteriso e Giulia Nardone. Installazioni particolari faranno da sfondo alla sfilata in abiti settecenteschi nobiliari creati dall’associazione Favole Seriche.

    I ballerini di “Mr Dancing” chiuderanno la serata prima delle degustazioni tipiche. L’ Itinerario curato da Giovanna D’ Amodio di Arteggiando prevede nello stesso pomeriggio una conferenza con il Vicepresidente dell’ Ordine degli architetti Prof. Lorenzo Capobianco e con i professori Luigi Caramiello, Clementina Gily, Franco Lista e il critico d’arte Pasquale Lettieri. La mostra resterà aperta fino al 13 novembre e sarà visitabile tutti i giorni dalle ore 9.00 alle 13.00, esclusa la domenica. In questi nove giorni, si alterneranno diverse manifestazioni tutte a ingresso libero. Fissate le date dei salotti letterari previsti nelle Scuderie di Villa Favorita (un lato della stessa Campolieto): domenica 6 novembre alle ore 18:00 presentazione del libro “Accade a Napoli” di Guglielmo Moschetti; venerdì 11 novembre alle ore 18:00 sarà la volta del libro “Nostos” di Antonella Del Giudice, scrittrice e conduttrice del “ Salotto culturale di Julie” su JulieNews TV web ed infine sabato 12 novembre alle ore 18:00 Gilda Arpino interpreterà, in abiti pompeiani, alcuni passi scelti da “Il prodigio di Sistro” di Stefania Menduni de Rossi. Il 5 novembre ci sarà l’iscrizione gratuita per chi vorrà partecipare alle “passeggiate fotografiche” a cura dell’associazione “Flegrea Photo”, alla scoperta dei luoghi vesuviani che si concluderà nel gennaio 2017 con una premiazione per la miglior opera fotografica. In collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Napoli è aperto un concorso di cortometraggi per giovani artisti non professionisti, studenti e film maker, che indagheranno sul territorio vesuviano e sulle sue peculiarità. “Itinerari d’arte” è in percorso che intende promuovere sia l’arte contemporanea sia la valorizzare il patrimonio architettonico, testimonianza del passato di questa terra, restituendoli in tal modo alla fruizione dei cittadini, degli studenti e dei turisti.

    L’evento “Itinerari d’arte lungo il miglio d’oro” è organizzato dall’Associazione Arteggiando con l’Ordine degli Architetti P.P.C di Napoli e Provincia Espongono a Villa Campolieto i seguenti pittori, scultori e fotografi: Tony Afeltra, Aurora Baiano, Maddalena Barletta, Enrico Bosi, Luciano Campitelli, Giorgio Carta, Alessandra Casciotti, Maria, Comparone, Michele Licata, Luca Dall’Olio, Antonio d’Amore, Pascal, Rosario De Sarno, Angelina Di Bonito, Mariarosaria Di Marco, Gennaro Di Giovannantonio, Giuseppe Di Guida, Mario Ferrara, Peppe Ferraro, Patrizio Fraternali, Giancarlo Gagliardi, Pietro Gardano, Peppe Gargiulo, Natasha Gillo, Maria Karzi, Enzo Elefante, Ennio Montariello, Marco Monteriso, Enzo Marino, Livio Marino, Angelo Marra, Pamela Elizabeth Mazzu, Giulia Nardone, Laura Negrini, Enzo Palumbo, Massimo Patroni Griffi, Sofia Orabona Dell’Aversana, Rosa Perugino, Anna Poerio, Felix Policastro, Anna Pozzuoli, Monica Presciutti, Luciano Romualdo, Pippo Russo, Raffaele Sammarco, Rolando Sanna, Antonio Sannino, Anna Scopetta, Gaetano Sica, Edoardo Stramacchia, Armando Trenti, Vertechi, Federica Virgili. Nei mesi tra novembre e gennaio 2017 “Itinerari d’Arte” si sposta a Villa Bruni e Villa Macrina, inserendo nei suoi programmi anche concerti a cura dell’“Associazione La Musica dell’ Anima” e incontri didattici sull’ arte contemporanea a cura dell’ arch. Franco Lista e della prof.ssa Clementina Gily. Il progetto ha ottenuto i seguenti patrocini: Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per il Comune e Provincia di Napoli; Città Metropolitana di Napoli; Comune di Portici; Comune di Ercolano; Comune di San Giorgio a Cremano; Comune di Torre del Greco; Accademia di Belle Arti di Napoli; Accademia di Belle Arti di Vibo Valentia; Fondazione Ente Ville Vesuviane; Ordine degli Architetti di Napoli; Fondazione Adastra; N.o.v.a. Italia onlus. La manifestazione ha il Matronato della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee.

     

    Fonte: ilmattino.it

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