Poetica sublime della leggerezza

Ho sempre sostenuto che la cosa più difficile da fare sia quella di raccontare con semplicità il mondo. Lo fa Ugo Nespolo quando scardina le incrostazioni auliche legate ai registri filosofici e alle gradazioni della bellezza superficiale, per scavare nei pensieri più ruvidi, nella poesia più intima dell’arte. Lo fa con il colore caldo e sfavillante delle sue scacchiere, lo fa con la sua ironia.

A leggere il distendersi dell’opera di Nespolo si ha l’impressione del passare del tempo, del suo produrre traumi e mutamenti, anagrammi e incastri in maniera sorprendente. La sua arte ci appare come una grande catena di montaggio, con ingranaggi che si chiamano Depero, Baj, Boetti, Sanguineti, vissuta in mezzo alla folla vorace del consumismo segnico e mediatico, fondendo e confondendo, la realtà con la fantasia, la materialità con la virtualità, come avviene nell’universo infantile (a cui l’artista sembra aprirsi apertamente con la sua ultima produzione di popolarissimi cartoni animati) e come può avvenire nelle nervature dell’arte contemporanea. In sostanza un’espressione alta, di un modo di farsi semplice, nella complessità, del disordine, dell’attualità, cercando di cogliere ciò che è lieve nel grave, senza negarsi niente.

Una genialità manifestata fin dalle prime esperienze ‘fluxus’ con Ben Vautier, nelle mostre da Arturo Schwarz, attraverso i film sperimentali con Lucio Fontana attore: Nespolo ha saputo cogliere con il suo sberleffo la possibilità di mantenere un atteggiamento al contempo ludico e critico nei confronti dell’immagine. Lui la compone e la scompone: cerca una scappatoia.

Di un artista conosciuto e apprezzato, anche dal grande pubblico, come Ugo Nespolo, si pensa di conoscere tutto, ci si illude di esaurire l’intera sua ricerca in un movimento circolare. Invece, il suo percorso creativo nasconde brusche sterzate, inattesi inciampi, improvvise impennate, nasconde un mondo visionario e acrobatico che si lascia solo intuire nelle opere più note. Il suo itinerario intimo, le sue meditazioni, la sua alfa, la sua omega, consegnati ad una forma spettacolare che assorbe tutte le radicalità degli ismi del Novecento, nel suo incontentabile tentativo di dare risposte a domande formali, ideali e contenutistiche, oscillanti tra il tutto e il nulla, di chi pensa all’immersione nell’impegno e di chi sostiene l’astensione da ogni cosa e da tutto.

Nespolo sente la necessità, in pieno imperversare dei linguaggi informali, di superare ogni forma d’astrattismo, per una figurazione che non ha nulla a che fare con il realismo classico, ma intenta a minare le forme della società dei consumi, tutta pubblicità e idoli dello spettacolo, capace di dettare i propri imperativi dolci, sorridenti, ma inesorabili nell’imporre anche la banalità, come essenzialità. Ne emerge una figurazione scherzosa, basata su immagini che sanno di “rebus”, a misura pop, tutta cartoon, teatro e tv, ma come se fosse seria, ufficiale, monumentale, mentre prevale, oltre alla semplificazione formale, ed alla riduzione stravolgente, la dissacrazione, nel senso che si possa parlare di tutto, dicendone tutto il male del mondo. Male, che poi non viene né detto, né fatto, ma basta l’intuizione per farne una forma d’arte rimarchevole.

Per capire Nespolo si tratta non già di interpretare teorie complesse e ideologismi sofisticati, quanto di lasciarsi trascinare dalla corrente senza opporre resistenza, utilizzando le energie in esubero per fare tardi la sera, per eccedere in passioni e vizi, consentiti ai ricchi a cui la vita non chiede ogni giorno una prova di verità.

Le sue opere possono straparlare (“Vaffanculo”), sgrammaticare, con tutta la libertà che gli viene dall’appartenenza alla stirpe dei vincitori, che però si accorgono di essere anch’essi nel gioco della dilapidazione e della dissipazione. E, infatti, tutto Nespolo ci appare datato, anche se di buona data e di buona annata, perché il tempo ha modificato tante cose, a cominciare dalla fiducia nel futuro, che non è scomparsa, ma è diventata più sofferente, meditata, meno incline alla spensierata gioventù bruciata, tra vitelloni e dolce vita. Fare i conti con un Nespolo così spettacolare e al contempo così officinale, è un’occasione critica ghiotta, perché permette di entrare nei luoghi in cui il divo si trasforma in artigiano e inventa i propri trucchi e le proprie macchine sceniche, confidando che nessuno ne verrà mai a conoscenza, perché guai a scendere dal piedistallo e farsi vedere umani come gli altri, perché il circo eterno della modernità non lo contempla.

Pasquale Lettieri